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CUORE DI SEPPIA

Journal of poetry - ART - SPIRIT - LIFE



domenica 27 maggio 2012

Disincronosi circadiana [alias: Jet Lag]

Una delle cose su cui puoi davvero contare nella vita è il ritardo dei voli Alitalia. E così si parte, con un’ora in più d’attesa, da spendere, senza neanche dirlo, in libreria. Posto passeggero 139D. E affianco a me [thanks to Federica, l’Hostess amica] nessuno. Lo spazio necessario per schiacciare, dopo i ravioli scotti al formaggio che non penso sia formaggio, un pisolino Atlantico. Invidiata da tutti. Stipati, accucciati come ragni in un buco troppo stretto. 9 ore. Di sbadigli. Un libro aperto,  dormiveglia. Sudoku. Biscotto. Sudoku. “Ma si può usare l’ipod?”. Un film. I titoli di coda, le nuvole. Solo nuvole. 10.000 m di altezza. Il posto più lontano dalla terra per pensare a mio padre, che si aspetta al più presto uno squillo ed è ancora a lavoro. Un lago. Il Lago. Hudson. La punta dell’Empire nella foschia. NY. Un cane addestrato che  intercetta il mio zaino, lo annusa, ritorna, poi va. Le impronte, la foto. “Mi segua”. E ti pareva. Condotta nel limbo dei sospetti in attesa di giudizio. Precauzione. Gli Stati Uniti vogliono essere sicuri che io non abbia bombe a mano nella trousse. {Stavolta le ho lasciate a casa}. Benvenuta in America. Taxi. 34th Strada. La mia stanza è di qualcuno che è appena andato via. Fra poco saprà di me.

mercoledì 9 maggio 2012

Una [Grande] Mela al giorno ..

E alla fine mi hanno fatto sapere. A quanto pare anche quest'anno compirò gli anni lontana da casa. Potrò sottrarre candeline alla mia torta improvvisata senza destare sospetto. Nessuno se ne accorgerà, io almeno proverò a barare. 4 mesi. Per ora.  Il tempo che serve per lasciarci il cuore.  E  ricascarci ancora. E non volersene andare. Via. Si doveva rischiare, io fiato e gambe ne ho. La valigia di sempre, la ragazza di sempre, un battito in più. Destinazione New York.


mercoledì 2 maggio 2012

D O P O F E S T I V A L

4 ore di sonno in due giorni, gli ultimi trascorsi a Perugia. Senza mai prender fiato. Come se non fosse mai esistito altro. Come se ogni pietra della città fosse stata messa lì per noi. Perché prima o poi saremmo arrivati. Ci sono passi che hanno il sapore di una vita. C’è tutto dentro. Tutto quello che basterebbe per stare bene. E abbiamo avuto il sole. Scarpe mai troppo comode, salite mai troppo facili. Ci siamo accordati, arrangiati, scambiati un sorriso d’intesa. E alla fine avuto ragione, portato a casa una scommessa. Ognuno con  i suoi trofei. Per altro con i suoi ricordi. Quelli di una stanza divisa in 6, di una doccia divisa in 6, di una risata a notte fonda moltiplicata per 6. Saremo sempre quelli dell’Ostello Spagnoli, del Minimetro fino al Pincetto. Del chococino e del caffè in sala stampa. Quelli dei turni improbabili e della coda al Morlacchi. Per vedere Travaglio, esorcizzando il sonno. Quelli del pacco. Pizza e panino. Pizza e panino. Dei Baci perugina tenuti in tasca (che sbaglio). Quelli che scrivono, che ci credono. Nonostante la fatica e le rinunce. Nonostante l’attesa. Quelli che non si preoccupano della serata, perché Mariano ha già steso il programma. Quelli della scalinata. Dei milanesi. Dell’ultima corsa persa, del taxi. Quando è già tardi, ma non per stare insieme ancora. Quelli dei saluti, dei numeri scambiati su un foglio strappato di corsa. Quelli che “se mi aggiungi su fb ci sentiamo”, “se capito a Roma ti faccio sapere”. Quelli che crollano in treno, sulla strada del ritorno. Con la valigia che non pesa poi tanto, pensando a ciò che è rimasto indietro. Quelli del Festival. Del giornalismo. Del conto alla rovescia che è già partito. Quelli che il prossimo anno, cascasse il mondo [i Maya qualche cagata dovranno averla pur detta], puoi giurarci ci saranno.

Photo by Antonio Doldo
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